Avevo capito che rinunciare a se stessi, non amarsi è come sbagliare a chiudere il primo bottone della camicia. Tutti gli altri poi sono sbagliati di conseguenza. Amarsi è l'unica certezza per riuscire ad amare davvero gli altri.
Fabio Volo dal libro "È una vita che ti aspetto"




martedì 19 maggio 2015

Sono un tumore. Mi nutro delle mie stesse ossa e mi rigenero nello scorrere del mio sangue. Sono fuori e dentro me. Fuori negli sguardi compassionevoli. In chi raccoglie i conati di vomito. In chi mi guarda scuotendo la testa e allargando le braccia. Sono nello specchio che riflette la pelle ingiallita, il viso gonfio e le occhiaie di petrolio. Sono le labbra spaccate. Le lacrime secche che non riescono ad uscire. Sono nelle chiese, nei sussurri delle preghiere che il vento disperde. Sono dentro. Nelle profondità della solitudine. Negli occhi che non vedono il futuro. Nei crampi allo stomaco, nei vuoti di memoria. Sono membra stanche alle quali non giova nessun riposo. Sono nei sorrisi di circostanza, in quelli spenti, in quelli repressi perché inutili. Io sono il mio tumore. Se mi faccio inghiottire sono lui che vince. Io sono io, nonostante il mio tumore, nonostante le flebo, le siringhe, lo strazio nelle viscere, i battiti accelerati, l'alito fetido e i capelli diradati. Io sto col mio tumore. Lo osservo, non posso fare a meno della sua compagnia e voglio diventargli complice. Voglio farlo ridere, respirare aria nuova, aria che non sa di disinfettante e di corridoio d'ospedale. Io rinasco quando sento il fresco dell'acqua sul viso. Quando guardo mio figlio prima di addormentarmi e so con certezza che domani lo vedrò riaprire gli occhi. Io sono io. A prescindere dalla mia patologia. Io ce la farò. Perché me lo merito, perché lascio che il male scorra, depositi il suo messaggio per troppo tempo inascoltato e fuoriesca dal mio essere. Lo faccio per me. Per nessun altro. Mi guardo ancora una volta allo specchio e so che domani sarò diverso, sarò diviso da questo male. Sarò e sarà ricordo. A questo punto sono già una persona diversa da quella che ha cominciato a scrivere. Non sono più il mio tumore. Non rileggo nemmeno quello che ho scritto perché le parole lasciamo tracce, spesso indelebili. Queste, invece, sono sassi e farfalle librate nel vuoto, lanciati nell'acqua. Sono cerchi che si allargano e mi lasciano solo quiete e libertà. Pace. Speranza