Avevo capito che rinunciare a se stessi, non amarsi è come sbagliare a chiudere il primo bottone della camicia. Tutti gli altri poi sono sbagliati di conseguenza. Amarsi è l'unica certezza per riuscire ad amare davvero gli altri.
Fabio Volo dal libro "È una vita che ti aspetto"




martedì 17 maggio 2011

La felicità...l'errore di non aver studiato meglio la matematica...


La felicità
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Per uno dei massimi poeti italiani contemporanei, Mario Luzi, la felicità non esiste. "Alla felicità io non credo". È una chimera, un miraggio che ha effettivamente polarizzato singoli e collettività, masse umane addirittura, conducendole anche all'ecatombe. La felicità sarebbe uno stato durevole e io non la vedo possibile nella Terra, nella vita umana, negli accidenti che la compongono. Mentre, ecco, la gioia, per esempio è possibile. La vedo come un dono gratuito della vita che può scatenarsi quando uno non se l'aspetta neanche".
Senza saperlo, Luzi non ha fatto che definire nel modo più corretto la felicità. Infatti parlare di felicità senza prima darne una definizione precisa e rigorosa è abbastanza inutile, un puro gioco mentale. Nella sintesi del poeta si trova il germe per capire come si possa dare una definizione esatta di felicità: in quelle due parole, "stato durevole", sono impliciti i due concetti che possono portare a una definizione scientifica della felicità. Lo stato implica una grandezza che possa misurarlo e il durevole indica una grandezza che tutti noi conosciamo, il tempo. Inoltre Luzi arriva a definire uno stato positivo nel concetto di gioia.
È estremamente importante formalizzare quello che il poeta ha "intuito".
Dai latini all'High Peoplehoras non numero nisi serenas (non conto che le ore serene).
I tre stati
Molti discorsi sulla felicità si perdono in vuote parole perché tendono a considerare l'intera esistenza dell'individuo. Lo "stato durevole" è ovviamente un'utopia  e questa utopia è sempre stato il cavallo di battaglia di chi ha voluto negare l'esistenza (o la possibilità concreta) della felicità.
Tutto diventa sorprendentemente banale se ci si riferisce a un attimo esistenziale: quel momento di gioia che Luzi e chiunque di noi ritiene possibile. Si tratta solo di analizzare il nostro stato relativamente alle nostre sensazioni istantanee, alle nostre emozioni del momento e non limitarci a definirlo "gioia", ma usarlo per una definizione profonda di felicità. Riassumendo le nostre emozioni puntuali (cioè dell'istante considerato) possiamo definire la loro positività da un minimo (dolore) a un massimo (gioia) passando per uno stato neutro (serenità), lo zero.
Il primo punto fondamentale è che solo il soggetto può giudicare il suo stato emozionale istantaneo. Ciò sembrerebbe far cadere ogni pretesa di oggettività, ma in realtà non è così poiché il fatto che un soggetto sia "pieno di gioia" in un attimo ben preciso non significa certo che abbia una vita felice. Si pensi a un tossicomane: sotto gli effetti della droga può anche essere in uno stato positivo, ma quanti attimi negativi deve affrontare nella sua esistenza! La droga sarebbe cioè un fattore positivo se non avesse devastanti effetti collaterali.
L'esempio del tossicomane ci consente di comprendere facilmente il passaggio da una definizione "immediata" a una più continua e definitiva. Basta introdurre il concetto tempo, che ci permette di fare il bilancio esistenziale. Si può parlare di gioia, serenità e dolore riferendosi a un attimo esistenziale, mentre il bilancio totale della nostra vita non è altro che la somma di tutti i suoi attimi. La qualità della vita è il parametro che esprime questa somma; se diciamo che un uomo fa unavita da cani, probabilmente vogliamo dire che ha avuto pochi attimi di gioia e di serenità. Nel grafico sottostante, gli stati emozionali del tossicomane sono in gran parte negativi: l'area sotto allo zero, prevale nettamente sull'area della piccola porzione sopra lo zero e il bilancio totale è decisamente negativo.

grafico
La definizione
Dopo queste premesse la definizione di felicità è molto semplice.
La felicità è l'integrale dello stato emozionale rispetto al tempo.
felicitàPer chi non ha presente il concetto matematico di integrale, si può dire in maniera più semplice che la felicità è la somma di tutti gli attimi della nostra vita valutati rispetto alle emozioni che noi proviamo; quanto più tale somma è positiva quanto più la nostra vita è felice.
Con questa definizione di felicità, la felicità esiste ed è oggettivamente misurabile. Notiamo che, contrariamente al significato comune, la felicità può anche essere negativa (nel linguaggio comune si parla di infelicità), è una grandezza che ruota attorno allo zero emozionale. Il grande plus di questa definizione è il ricavo di un dato oggettivo partendo da una valutazione (lo stato emozionale istantaneo) che è soggettiva (nel senso che parte dalle emozioni del soggetto). Si evitano i due grandi errori tipici.
La cecità esistenziale - Uno dei problemi maggiori che si affrontano quando si chiede a una persona di fare il suo bilancio esistenziale è che spesso mente a sé stessa o comunque non è in grado di dare una risposta coerente con la realtà. Il motivo è che non sa o non vuole sommare i singoli attimi, preferendo una risposta approssimativa che nulla ha a che vedere con la sua vita. La moglie con un matrimonio devastante preferisce subire le violenze del marito e raccontare che ha una vita felice; il genitore racconta mirabilie del figlio anche quando deve sudare sette camicie per non farlo sbandare di qua o di là; tizio si compiace con l'amico del suo lavoro quando non vede l'ora di cambiarlo ecc. Meno tragicamente, la cecità esistenziale è tipica di coloro i quali danno una definizione di felicità (per essere felice mi basta la salute oppure la felicità sono i miei figli) che non corrisponde alla somma dei loro stati emozionali: continui piccoli o grandi problemi avvelenano la vita regalando ai ciechi esistenziali una miriade di stati emozionali negativi. E loro li accettano perché tutti hanno problemi.
L'invidia esistenziale - Purtroppo con lo stato emozionale non si può barare: se si prova dolore, sofferenza, paura, angoscia ecc. lo stato è negativo; se si prova gioia, calma, tranquillità, si sorride alla vita è positivo.
Notiamo come sia illogica e priva di fondamento la posizione chi vuole rendere la valutazione dello stato emozionale una misurazione priva di valore. "È impossibile che tu sia veramente felice se non…" è la frase classica con cui si contesta uno stato emozionale positivo. Alla base di ciò c'è sempre una grande invidia esistenziale e una grande miopia spirituale che nasce dal pretendere che si arrivi alla felicità tramite una sola strada. Di strade ce ne possono essere tante, più o meno lunghe, l'importante è prendere la direzione giusta. Ed è proprio la presenza di tanti stati emozionali positivi (e non dissertazioni filosofiche) che ci indica che la direzione è quella buona.
Un uomo che sorride sempre è felice, punto e basta. Un uomo che piange sempre è infelice, punto e basta. Se si accettano questi due estremi, è evidente che la definizione integrale di felicità prevale su ogni altra considerazione.
I fallimenti precedenti
Il concetto di stato emozionale può far pensare che la felicità si giochi dentro di noi. Vedremo che ciò è molto riduttivo e non permette di andare al di là di un semplice miglioramento della nostra vita, il più delle volte modesto.
Proviamo infatti a ritornare indietro di qualche secolo, per esempio nel 1600. La maggior parte della popolazione aveva un vita estremamente instabile: guerre, carestie, malattie segnavano l'esistenza in modo spesso drammatico. La giustizia, la libertà individuale, la democrazia erano pure e semplici chimere. Pensare che la felicità dell'individuo potesse dipendere da come riusciva a gestire le sue emozioni non poteva che apparire ridicolo quando una persona in giovane età non sapeva se avrebbe vissuto ancora per un anno in condizioni accettabili. La vita era pesantemente condizionata da fattori esterni a noi, tant'è che la fuga dal mondo (monaci, eremiti ecc.) era una prassi abbastanza consolidata, una strategia esistenziale.
In questo quadro le religioni fornivano (e lo fanno ancora in Paesi dove le condizioni di vita sono paragonabili a quelle occidentali di qualche secolo fa) una chiara risposta esistenziale: la felicità sta sopra di noi. Il rapporto con il divino permetteva di superare qualunque terribile prova terrena
Si noti come le principali religioni erano incapaci di promettere la felicità in Terra (beati gli ultimi che saranno i primi), differendo il premio in un altro mondo.
Con il migliorare delle condizioni di vita e con l'affermazione dei diritti umani, all'uomo la religione non è più bastata perché era fisiologicamente possibile essere felici anche nella vita terrena; la religione insegnava a sopportare i problemi del mondo, ma non insegnava a evitarli e nel mondo occidentale questa consapevolezza ha mandato in crisi la religione (i veri credenti, cioè quelli coerenti con gli insegnamenti delle Chiese, oggi sono una minoranza della popolazione), ma ha mandato in crisi anche l'individuo, rimasto senza faro.
L'opera di Freud ha portato l'attenzione e la speranza dell'uomo del XX sec. all'interno di sé; decenni di psicanalisi e di altre correnti della psicologia non sono state però in grado di fare granché: l'uomo di oggi è sempre più devastato.
Lo stato emozionale: situazione e valutazione
Lo stato emozionale (quello la cui somma, o meglio, il cui integrale dà la felicità) è funzione della situazione e della valutazione che il soggetto dà di essa:
E=E(S, V)
dove S è la situazione e V la valutazione.
Nella correttezza della valutazione entrano le componenti affettiva e cognitiva dell'intelligenza dell'individuo. Supponiamo che la valutazione sia corretta. Cosa accade se, pur valutando correttamente, la situazione è esistenzialmente disastrosa? È possibile che una persona arrivi a una situazione negativa? Sì, lo è. Infatti la situazione è funzione dell'ambiente e delle scelte che noi facciamo:
S=S(A, sc).
La situazione può dipendere dall'ambiente e l'esempio del vissuto nei secoli scorsi è illuminante: uno schiavo che lavorava nelle piantagioni di cotone nell'America del 1850 poteva essere sereno, ma solo chi vuole sprecare energie mentali può sostenere che poteva essere felice. Come detto sopra, la grande influenza ambientale nei secoli passati (e ancora oggi in paesi dove le condizioni di vita e i diritti umani sono ancora scadenti) ha favorito l'affermarsi delle religioni come strategia esistenziale di sopravvivenza. Oggi, a differenza dei secoli scorsi, nei Paesi occidentali l'ambiente forza molto meno le nostre scelte, anche se i più pessimisti continuano a vedere "enormi condizionamenti": la situazione oggi diventa strettamente dipendente dalle nostre scelte.
Le nostre scelte passano nella quotidianità attraverso la parte razionale del cervello che può essere più o meno influenzata dalla parte affettiva. Infatti la scelta non è che l'elaborazione razionale dei dati emotivi e dei dati dell'ambiente: tre sono dunque le grandezze in gioco nella scelta: le nostre emozioni, i dati esterni (informazioni) e il potere razionale, tipico del cervello razionale. Una scelta può essere disastrosa conducendo a una situazione disastrosa perché il soggetto
  • ha intelligenza razionale scadente (in altri termini commette grossolani errori razionali);
  • ha dati esterni non buoni;
  • ha dati affettivi che cortocircuitano la parte razionale (cortocircuito emozionale);
  • ha dati affettivi che sono soffocati dalla ragione (soffocamento razionale).
A questi casi si deve aggiungere l'ambiente, pur contando meno che un secolo fa (lo scopo di ogni governo dovrebbe essere quello di dare alla maggior percentuale possibile di cittadini un ambiente sufficiente, intendendo quelle condizioni che non penalizzino le scelte del singolo).
Se si esaminano persone normali, con i "problemi di tutti" si scopre che la maggior parte di esse ha:
un'intelligenza razionale scadente
un cattivo rapporto emozione-ragione
ha dati esterni pessimi.
La rivoluzione del Well-being
Comprendendo la differenza fra vivere e sopravvivere, il Well-being si preoccupa invece di non avere problemi, orientando il soggetto verso situazioni e condizioni di vita che non agiscano come continui fattori peggiorativi della qualità della vita.Per fare ciò studia il cervello corticale (ragione) per creare situazioni in cui il soggetto possa trarre il massimo dalle sue emozioni. Non si tratta di un predominio della ragione sullo spirito come molti detrattori continuano a sostenere, perché la ragione si occupa di creare le condizioni di vita in cui un cervello emozionale al top (e il Well-being insegna come ottenere il massimo anche emozionalmente) possa esprimersi al meglio. Prima occorre:
  • evitare irrazionalità;
  • avere i dati migliori;
  • poi si può pensare all'equilibrio emozione-ragione.
Il Well-being cioè migliora sia il "dentro di sé" (valutazione) che il "fuori di sé" (situazione). In altri termini, il Well-being non si limita ad azzerare i picchi negativi, ma riporta in su tutta la curva della felicità. E la differenza è immensa, si vive anziché sopravvivere.
Vediamo con un grafico tre situazioni tipiche.

grafico
In ascissa è riportato il tempo, in un'unità di misura a piacere (può essere la giornata, la settimana ecc.), ininfluente per il significato profondo delle curve. In ordinata è rappresentata la grandezza felicità. I singoli punti delle curve sono gli stati emozionali campionati su un soggetto in base all'unità di tempo (per esempio: oggi come è stata la sua giornata?).
Il soggetto vive situazioni negative per parte del periodo, per un'altra parte vive situazioni positive, un soggetto "normale". Applicando le teorie emozionali (http://www.albanesi.it/Mente/intelligenzaemozionale.htm)
riesce a gestire i problemi e a viverli in serenità, riportando a zero il valore dello stato emozionale (punti 1, 2, 3, 9, 10, 11). Applicando il Well-being i problemi vengono evitati e la curva è tutta positiva. Semplice no?


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