Avevo capito che rinunciare a se stessi, non amarsi è come sbagliare a chiudere il primo bottone della camicia. Tutti gli altri poi sono sbagliati di conseguenza. Amarsi è l'unica certezza per riuscire ad amare davvero gli altri.
Fabio Volo dal libro "È una vita che ti aspetto"




sabato 6 febbraio 2010

Abili artefici

Siccome è un po’ di tempo che tentiamo di riscoprirci attraverso i nostri piedi, avanziamo con decisione in questa giungla capovolta e allarghiamo il nostro modo di vederci “da sott’in su”, come suggerisce spudoratamente il titolo della rubrica.
Scommetto che la maggior parte dei lettori l’aveva considerato un titoletto allegretto, un simpatico gioco di parole: invece no, è un enunciato programmatico, ed è anche abbastanza faticoso all’inizio.La prenderò alla lontana. “Il pensiero crea” ci hanno insegnato a scuola, spronandoci a progettare la soluzione di un problema, lo schema di un oggetto, il tracciato di un testo. In superficie abbiamo capito questo semplice concetto e andiamo applicandolo con diligenza nelle più svariate occasioni, dall’immaginare un impianto elettrico all’elaborare un piano di studi efficace, allo scegliere una pettinatura o un vestito adatti a noi. Lo usiamo sempre e comunque, solo che a volte non ce ne accorgiamo affatto. “Io gioco a calcetto” sembra un’affermazione, ma presuppone la scelta di uno sport, di un luogo, di un gruppo di compagni e di un abbigliamento, nonché l’uso di tempo e denaro: in fin dei conti è il risultato di un progetto.Che dire allora di frasi come “Io sono sfortunato”, “Come sono grassa”, “Ogni primavera ho l’allergia”?O ammettiamo che il pensiero, per suoi oscuri e beffardi meccanismi, a volte crea e a volte no, oppure… orrore, signor capitano! Se ci soffermiamo con onestà dobbiamo forse riconoscere di essere dei grandi, potenti creatori a tutto tondo. Io non sono arrabbiata perché qualcuno o qualcosa mi ha urtato, ma piuttosto ho un progetto di rabbia dentro di me che filtrando il mondo esterno lo permea del suo colore. Osiamo ancora di più: non ho l’artrosi perché sto invecchiando, ma nutro al mio interno un progetto di rigidità così totale che mi ci vuole una vita per realizzarlo completamente. Fa paura, vero? Bene, questo è il primo passo, riconoscere per lo meno il beneficio del dubbio a un simile meccanismo e permettersi lo spavento delle sue implicazioni. La reazione potrebbe essere: “Non sarà mica colpa mia se ho l’asma!” L’idea di colpa è impregnata di giudizio, meglio sfrondarla.Non è colpa del progettista se il risultato del suo lavoro è un piccone: se gli avessimo commissionato un’oliera, lui avrebbe pianificato quella e noi ora staremmo ungendoci le giunture anziché disgregandoci le cartilagini articolari. Non c’è colpa, ma progetto ed esecuzione accurata.Ed ecco che il passo successivo ci porta un raggio di sole: ma allora, se sono un così abile esecutore, basta cambiare il progetto. E questo è il succo della chiacchierata odierna, riprendersi il potere di se stessi. Ogni qualvolta mettiamo una causa fuori di noi, ce ne priviamo inconsapevolmente: lui ha fatto, lei ha detto, l’inquinamento provoca, i conservanti causano, ecc ecc Tutto agisce su di noi, ma il modo in cui lo farà dipende dal nostro progetto. Ecco perché guardare negli angoli bui che ciascuno ospita, allo scopo di ripulirli, richiede coraggio, ma ci preserva dal contaminare pagine e pagine di progetto vitale con i residui di passate esperienze indigerite. La volta scorsa avevamo osservato come attitudini energetiche monodirezionali prolungate nel tempo finiscano per sovraccaricare o svuotare un compartimento corporeo, e come ciò sia leggibile sui piedi. Ora, camminando lungo il fiume in direzione della sorgente, possiamo anche considerare l’opportunità di renderci consapevoli dei progetti che hanno lentamente creato tali dislivelli.Torniamo al famigerato eccesso in zona toracica (leggi: ‘sta durezza sotto le dita che fastidio): magari un mio progetto è “respiro piano per non far rumore” ovvero “mi servo di aria con cautela” ovvero “sono timida”. Riprendendomi i diritti d’autore sulla mia vita, mi si aprono alcune possibilità allettanti. Posso lavorare sulle mie capacità relazionali e rivedere gli spazi reciproci occupati in me da intro - ed estroversione: il risultato sarà un ampliamento della capacità respiratoria – meno energia trattenuta in loco – ammorbidimento della durezza di cui sopra.O posso iniziare “da sott’in su”: massaggiare con garbo, affetto e costanza la zona ispessita. Ciò stimolerà la circolazione sanguigna, smuoverà tossine, farà vacillare la corazza non solo sul piede ma anche sull’organo che vi si specchia. In tal caso il risultato potrebbe essere lasciar espandere e svuotare con maggior libertà la cassa toracica, quindi usare più aria, quindi affermare con maggior sicurezza la propria presenza nel mondo. In fondo non è una novità, ce l’ha spiegato chiaramente Einstein col suo e=mc2: materia ed energia sono la stessa cosa, grazie (o nonostante) a quel misterioso c2.
Alessandra Atti

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